Brusaferro era scettico sull’uso dei tamponi a tappeto

Agli atti dell’inchiesta di Bergamo una chat con Curcio a Udine
Hubert Londero
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Nel febbraio 2020, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, l’udinese Silvio Brusaferro, era scettico sull’uso dei tamponi a tappeto per rilevare il Covid 19. E la Sanità friulana non era pronta a far fronte a una massiccia richiesta di test. E’ quanto emerge da una chat tra Brusaferro e il direttore del Dipartimento di medicina di laboratorio di Udine, Francesco Curcio, contenuta negli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo sul Covid in Val Seriana.

La chat risale al 22 febbraio, il giorno dopo il cosiddetto Paziente 1. Commentando la situazione, Curcio sottolineava che in Friuli il problema era quello dell’iperafflusso. “In un paio d’ore – scriveva – abbiamo già un centinaio di richieste di test. Rischiamo di saturare i sistemi di accoglienza e di diagnosi”. “Il tema – gli rispondeva Brusaferro – è che tutti pensano che il test serva a qualcosa”. “Con questi numeri senza una vera emergenza – continuava Curcio – non oso pensare alle richieste che faranno quando avremo i primi casi. Facciamo presto – concludeva – a rimanere senza materiali”.

In quel periodo si decise di eseguire i tamponi solo nei casi di sindrome simil-influenzale o da distress respiratorio acuto. Eppure i tecnici, Brusaferro compreso, erano stati avvertiti da Londra che oltre 2/3 dei portatori sani provenienti dalla Cina non erano stati rilevati e che avevano avuto il tempo di diffondere il virus.

Secondo la Procura di Bergamo, tra i motivi che portarono a non procedere con i tamponi a tappeto, c’era il fatto che nessuno, dal ministero alle Regioni, aveva previsto lo stoccaggio di tamponi e reagenti e nulla era stato fatto per ampliare il numero dei laboratori in grado di diagnosticare il Covid.

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