Caso Gaiatto e camorra: in manette il “buttafuori” che minacciava imprenditori e professionisti

Un altro arresto eseguito in collaborazione tra la Divisione Investigativa Antimafia e la Guardia di Finanza di Trieste. Il provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Trieste è connesso agli...
Redazione
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Un altro arresto eseguito in collaborazione tra la Divisione Investigativa Antimafia e la Guardia di Finanza di Trieste. Il provvedimento emesso dal Gip del Tribunale di Trieste è connesso agli sviluppi delle indagini che avevano già portato in carcere 7 persone, a dicembre 2018, appartenenti ad un clan camorristico attivo tra il Friuli e Veneto Orientale.

Questa mattinata la Direzione Investigativa Antimafia di Trieste ed il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria Trieste della Guardia di Finanza hanno eseguito a Roma una misura di custodia cautelare in carcere a carico di Ovidiu Bali, romeno 44enne, residente nella capitale, accusato, con i 7 già in carcere dal 18 dicembre scorso, di aver commesso più estorsioni in Croazia, ma pianificate in Italia, in danno di imprenditori e professionisti, alcuni dei quali italiani operanti a Pola (Croazia).

Il Bali — dal fisico corpulento in quanto ex olimpico dei “pesi massimi” all’Olimpiadi di Atlanta del ’96, pregiudicato, mestiere prevalente “buttafuori” – aveva il compito di intimidire con la sua minacciosa presenza fisica le vittime designate del gruppo criminale cui si vantava di appartenere, munito di delega a passare anche alle vie di fatto, ove necessario.

Controllato più volte con personaggi apicali della Famiglia Spada di Ostia, Bali Ovidio, è stato identificato dagli investigatori che hanno poi mostrato le sue foto in visione alle vittime.

Il “Boxeur” è stato riconosciuto da ben sei persone. Il Bali ha avuto l’incarico di “convincere”, anche con plurime coercizioni fisiche, le vittime a rinunciare agli ingenti crediti da essi vantati nei confronti del Gaiatto, inducendole anche a cedere a quest’ultimo beni mobili ed immobili senza alcun corrispettivo nonché a fare consistenti prestiti che poi avrebbero dovuto confluire sul conto di società del faccendiere di Portogruaro.

I delitti perpetrati con metodo mafioso erano diretti a favorire gli interessi del famigerato clan camorristico dei “casalesi”, come accertato dagli investigatori, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Trieste Carlo Mastelloni e dal Sostituto Procuratore della Dda, Massimo De Bortoli.

Scandagliando gli ambienti della criminalità organizzata di stampo camorristico era emerso che Fabio Gaiatto, di Portogruaro (VE), attualmente in carcere, vestiti i panni abusivi di intermediario finanziario, aveva investito quasi 12 milioni di euro appartenenti però a gruppi criminali contigui ai casalesi, con la complicità e lo strumentale utilizzo di diverse società con sedi in Croazia, Slovenia, Gran Bretagna.

Le autorità croate, lo scorso anno dopo le denunce di un professionista ed accogliendo le istanze di vari creditori, avevano pignorato i conti correnti delle aziende istriane facenti capo al Gaiatto disponendone il blocco finanziario, impedendogli di restituire quanto investito dai boss.

L’acuirsi del dissesto finanziario del Gaiatto e le pressanti esigenze dei sodali campani di rientrare in possesso delle ingenti somme, inducevano i medesimi a mettere in atto condotte estorsive nei confronti di numerosi professionisti, italiani e croati.

ln questo contesto emergeva il ruolo iperattivo di soggetti riconducibili ad organizzazioni camorristiche i quali, in primis, assumevano la tutela del Gaiatto garantendogli una sorta di protezione da eventuali attività ritorsive dei creditori, esasperati per il mancato rientro dei capitali investiti, assicurando al Gaiatto la loro costante presenza nella sua abitazione e/o accompagnandolo in occasione dei suoi spostamenti.

Queste condotte hanno portato agli arresti nel dicembre scorso di Gaiatto Fabio, Iozzino Francesco Salvatore Paolo, Celentano Gennaro, Curtiello Mario, Boriello Walter, Cardone Luciano, Esposito Domenico.

Numerosi gli episodi estorsivi emersi idonei ad evidenziare la determinazione a delinquere degli arrestati ma anche i consistenti interessi economici in gioco, pari a un giro di affari di decine di milioni di euro puntualmente ricostruito dagli uomini della Dia e della Gdf di Trieste.

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