Traffico internazionale di rifiuti e frode da 309 milioni, 5 arresti e 58 indagati

Frode fiscale da 300 milioni di euro, con trasferimento occulto in Cina di 150 milioni. La Guardia di Finanza di Pordenone sta eseguendo, in varie regioni italiane, arresti, perquisizioni e sequestri ...
Andrea Pierini

Frode fiscale da 300 milioni di euro, con trasferimento occulto in Cina di 150 milioni. La Guardia di Finanza di Pordenone sta eseguendo, in varie regioni italiane, arresti, perquisizioni e sequestri su delega della Procura – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, nell’ambito di un traffico illecito di rifiuti di materiali ferrosi e non (rame, ottone, alluminio). Nell’operazione, denominata ‘Via della Seta’, sono indagate 58 persone ed è stato eseguito un sequestro preventivo di 66milioni di euro. Per i 5 pericolosi promotori del sodalizio sono in corso le misure cautelari.

L’indagine

Complessa l’attività investigativa delle Fiamme Gialle che, su delega della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, ha sgominato un sodalizio criminoso a carattere transazionale operante nella commercializzazione fraudolenta di “rifiuti metallici non pericolosi”.

Le investigazioni sono iniziate nel 2018, quando sono state notate strane movimentazioni finanziarie tra una impresa della Repubblica Ceca ed una neocostituita azienda della Provincia di Pordenone. Le successive indagini, condotte anche mediante intercettazioni e pedinamenti occulti nelle aree di stoccaggio, negli uffici e nei caselli autostradali, hanno consentito di ricostruire un diffuso e importante traffico di rottami metallici avvenuto negli ultimi 8 anni aggirando gli obblighi ambientali, le  tracciatura vigenti e utilizzando fatture per operazioni inesistenti. Circa 150mila le tonnellate movimentate, pari al carico di 7mila autoarticolati, vendute “a nero”, evadendo le imposte nonché gli obblighi delle normative ambientali, con relativa riduzione della base imponibile.

Il sistema

La struttura criminosa operava con il seguente modus operandi: prima creava in Italia società ad hoc “intermediarie”; tramte queste inscenava fittizie operazioni di acquisto di materiale ferroso all’estero, giustificato da fatture per operazioni inesistenti, emesse da società compiacenti aventi sede nella Repubblica Ceca e Slovenia. Tutto un carteggio di acquisti finalizzati ad ottenere una “copertura” documentale e contabile volta a farle apparire come rottami lecitamente acquistati da imprese estere che ne attestavano falsamente la regolarità.

L’utilizzo della documentazione (fiscale e ambientale) generata dalle operazioni inesistenti consentiva a terze aziende manifatturiere di operare la vendita di scarti di lavorazione metalliche ‘a nero’, altrimenti non perfezionabili, tenuto conto che le acciaierie si individuano in soggetti economici, di rilevanti dimensioni e fatturato, del tutto refrattari a gestire acquisti di tonnellate di materiale non tracciato e privo della necessaria documentazione ambientale.

I pagamenti delle fatture (di acquisto e vendita), inoltre, venivano sempre condotti tramite bonifici bancari, al fine di apparire genuine.

Il giro di affari

Il denaro inizialmente trasferito nei paesi dell’est Europa dagli italiani veniva bonificato in istituti bancari nella Repubblica Popolare Cinese e le somme qui accreditate venivano contestualmente “compensate” con la rimissione di denaro contante (non tracciabile) consegnato in Italia dai referenti cinesi ai membri del sodalizio criminale italiano, operazioni che venivano condotte presso noti centri commerciali all’ingrosso cinesi di Padova e Milano dove il denaro veniva “passato di mano” all’interno di buste di plastica.

Detto ingegnoso sistema, permetteva pertanto di far giungere, mediante il sistema bancario internazionale, disponibilità finanziarie in Cina con modalità occulte aggirando i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio, in relazione sia al tracciamento delle operazioni in capo ai soggetti realmente interessati che alle difficoltà di operare presso istituti di credito con ingenti disponibilità di denaro contante.

I membri del sodalizio criminale ottenevano, così, quella liquidità cash loro necessaria per retrocedere i pagamenti per le fatture fittizie in precedenza condotti.

L’operazione di servizio ha consentito di individuare l’emissione di fatture per complessivi 308.894.000 euro, l’occulto trasferimento di risorse finanziarie nella Repubblica Popolare Cinese per euro 150.000.000 schermate da inesistenti operazioni commerciali.

Il sodalizio

I principali promotori del consorzio criminale sono 5 uomini originari del triveneto (3 dei quali con residenza nella Confederazione elvetica) coinvolti nella gestione di 3 società filtro nel tempo utilizzate allocate nelle provincie di Venezia Pordenone e Treviso.

Tra gli ulteriori soggetti indagati risultano anche i coniugi di 2 dei principali artefici dell’associazione cui sono state contestate condotte di riciclaggio connessa all’acquisto di alcuni immobili con risorse di origine delittuosa, nonché imprenditori residenti in 12 provincie utilizzatori di fatture per operazioni inesistenti, riepilogati nell’accluso prospetto con correlati elementi sul quantum delle operazioni commerciali che li vede coinvolti. Sono state complessivamente condotte su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, 50 perquisizioni nelle provincie di Udine, Gorizia, Treviso, Padova, Belluno, Verona, Venezia, Brescia e Como.

I provvedimenti cautelari personali sono stati interamente eseguiti nei confronti degli indagati mentre sono ancora in corso le misure ablative per le quali sono state già sequestrate disponibilità liquide e beni immobili nonché n. 3 società, compresi gli spazi aziendali, ubicate nella Provincia di Treviso e Belluno a tutt’oggi dedite alla prosecuzione delle attività criminose. 

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