Uniti contro un nemico invisibile. E il titolo del libro che racconta la battaglia contro il Coronavirus di Casa Serena, la struttura per anziani che a settembre è stata invasa dal Covid-19, scacciato in 32 giorni. Un nemico invisibile capace di passare attraverso i muri, dice il direttore Giovanni Di Prima. Un’azione dal basso che ha richiesto l’impegno e la responsabilità di tutti i membri della comunità, anche e soprattutto di quelli più fragili, che con la loro pazienza e resilienza hanno dimostrato, prima di tutto a se stessi, che questo nemico si può battere. Il libro è stato stampato ed è distribuito gratuitamente.
L’estratto
«Il bastardo passa anche attraverso i muri»
Era ormai notte, eravamo sconcertati e in preda a queste preoccupazioni. Ci interrogavamo inoltre su come avesse fatto il virus a entrare, di chi fosse la colpa, quali errori fossero stati commessi. Tutti questi pensieri e tensioni stavano erodendo molte delle nostre energie. Fino a quando, nella concitazione di questi ragionamenti, qualcuno di noi rabbiosamente esclamò, facendo virare la tensione in un’altra direzione: «Quel bastardo passa anche attraverso i muri!». Questa frase fu subito avvertita da tutti come un assioma, un’auto-evidenza. Il virus esiste, aggira gli ostacoli, trova sempre nuove vie. È impossibile che una comunità, per quanto attenta, possa ridurre a zero i rischi di ingresso del virus. I nostri muri erano rappresentati da tutti gli interventi di prevenzione che avevamo messo in campo e dai sette mesi di inviolabilità che eravamo riusciti a garantire. L’espressione “bastardo” inoltre ci diceva con evidenza che tutti noi avevamo di fronte un nemico esterno. In questa prospettiva aveva senso concentrarsi esclusivamente sul contrasto al virus, più che sulla ricerca delle singole responsabilità. C’era bisogno di fare qualcosa tutti assieme, per liberare energie negative e frustrazioni, anche qualcosa di ovvio, che magari si sarebbe rivelato intelligente. Abbiamo deciso così di seguire pedissequamente quello che avevamo scritto mesi prima nel Piano di limitazione della diffusione dell’infezione e negli altri protocolli allegati: leggevamo ad alta voce e mettevamo in pratica, senza tanto discutere e ragionare. In poche ore abbiamo sistemato le ultime suppellettili nel nucleo Covid, che da quando era stato ultimato, ad aprile, era rimasto chiuso; abbiamo allertato l’équipe assistenziale e l’infermiere, e all’una di notte i cinque anziani positivi sono entrati nella nuova area.
La cabina di regia
La cabina di regia ha assunto subito funzioni propedeutiche a creare o a ripristinare alcune condizioni essenziali per promuovere un’azione efficace di contrasto al virus. La prima funzione non era programmata e organizzata. Si è sviluppata spontaneamente: quella di mutuo soccorso fra i suoi componenti, un reciproco supporto per affrontare l’ansia e la paura. Ci si aiutava a vicenda, con piccole premure e gesti. C’era chi pensava a portare le brioche ogni mattina, chi organizzava qualche spuntino per staccare un poco, chi comprava piccoli regali. Gli episodi sono stati molti, ognuno di noi ne ricorda alcuni, talvolta con commozione e simpatia. Sono cose nostre e non ha senso raccontarle, ma senza questa reciproca attenzione non ce l’avremmo fatta. L’altra funzione era di dissipare la nebbia e la confusione. Si discuteva tutto, spesso si ragionava a voce alta a favore di tutti, non si alzava mai la voce contro qualcuno o qualcosa. Non era certo uno spazio calmo, anzi le discussioni sui problemi si intersecavano, con continue interruzioni. Da una questione non ancora conclusa si passava a un’altra, tutto sembrava importante e collegato. Pareva quasi di tessere una tela partendo contemporaneamente da più punti. Inoltre le cose da fare erano molte. Cercavamo delle connessioni, speravamo di trovare una logica. Gli strumenti principali di visualizzazione dei problemi erano due grandi lavagne bianche. Tutte le discussioni e i ragionamenti fra di noi cominciavano e finivano sulle lavagne. C’era sempre qualcuno che, assorto, le fissava alla ricerca di un senso, o vi scriveva. Su una segnavamo in colore nero tutti gli ele- 30 uniti contro un nemico invisibile menti che emergevano, i più disparati, che una volta usati o esplorati venivano poi cancellati. Sull’altra invece cominciavamo a delineare la nostra strategia di azione e i principali collegamenti al virus. Il pennarello rosso segnava i punti a favore del virus, il verde quelli a nostro vantaggio. Inutile dire che nelle prime ore la lavagna era tutta rossa, ma poi, a poco a poco, comparvero i primi segni verdi. Quella seconda lavagna diventò giorno dopo giorno la nostra bussola e i segni verdi la nostra rotta. Per spiegare al personale cosa stava succedendo usavamo la lavagna. Serviva a due cose: ci aiutava a spiegare con chiarezza, ma allo stesso tempo comunicava che stavamo delineando un piano di azione. Non ci eravamo arresi al fatalismo.